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Le descrizioni pesanti di Palazzeschi pesano: eccome!

Nei giorni scorsi, mi è capitato di soffermarmi su questo post in Instagram di Clarissa Neri, Editor, la quale, come potete vedere non apprezza molto con le descrizioni, colpevoli, a suo modo di vedere, di appesantire il ritmo di lettura. 

Questa affermazione mi fa venire in mente una famosa freddura, un classico della comicità paradossale: cameriere questa minestra è immangiabile e le porzioni sono pure scarse!

Si può, quindi, parafrasando la battuta qui sopra, dire: sto leggendo un romanzo bellissimo, non vedo l’ora di finire? E invece, io, modestamente direi: sto leggendo un romanzo bellissimo vorrei che non finisse mai!

Chi ha ragione? Troppe descrizioni sono realmente pesanti e rallentano davvero la lettura? Conta veramente il ritmo di lettura, per apprezzare la bellezza di un testo e per sancirne o prevederne il suo successo potenziale? Ma poi: è così importante conoscere come va a finire un racconto, una storia, un romanzo o una biografia tanto da volerne accorciare il tempo della sua lettura? E’ solo la fine della storia, il come va a finire, a renderne il senso, e fare di quella trama un racconto interessante e il libro vendibile, o comunque bello?

A cosa servono le descrizioni, sempre che il verbo “servire” abbia un senso nel valutare l’estetica di un romanzo, di uno scritto, la sua portata letteraria? Vogliamo magari porci la domanda in questo senso: a cosa è funzionale, se è funzionale o almeno utile una descrizione in un romanzo?

Ebbene, se Manzoni non ci avesse descritto il ricciolo che fa capolino, disordinato e impertinente, dal soggolo della Monaca di Monza e tanti altri particolari, non ci avrebbe donato uno dei più bei personaggi letterari di sempre, e anzi, al contrario, anticipando già nelle prime descrizioni alcuni tratti del suo carattere, visto con gli occhi di Lucia che certo non si aspetta da una monaca certe domande, il Manzoni incalza il lettore e aumenta il ritmo della svolgimento del racconto, in un alternarsi nonché in uno scambio di ruoli tra descrizione che diventa un dialogo con il lettore, e dialogo descrittivo dei personaggi; un po’ come fa quando fa leggere a Renzo negli occhi del Notaio che lo ha arrestato dopo l’assalto ai forni una strana pazienza forzata per nascondere la fretta e la paura, sentimenti descritti che poi saranno alla base dell’espediente narrativo della fuga da Milano.

La descrizione se vogliamo dirlo da tecnici, da critici, e non da appassionati lettori di parte, è come la tonalità con cui viene scritto un brano musicale: il fa maggiore non è il do minore, non tanto perché le note bemolli sono diverse, ma proprio perché la tonalità dice del brano e introduce a uno stato d’animo, a un modello di aria, al carattere stesso dei personaggi. Certo non è necessario che sia meticolosa e maniacale, ma rende meglio l’immedesimarsi in un luogo letterario da parte del lettore, che non è solo un tempo e un luogo fisico, ma è soprattutto un vivere egli stesso la storia.

Naturalmente i gusti sono gusti: dopo aver assistito al Ratto del Serraglio, l’Imperatore Giuseppe II D’Asburgo che era appassionato di musica pur essendo a detta di Antonio Salieri un perfetto imbecille musicale senza talento alcuno, ebbe a dire a Mozart, per potersi dare un tono e muovere una critica (inutile, ben inteso! Ma qualcosa doveva pur dire, no?) all’irraggiungibile musicista: “Ci sono troppe note, Herr Mozart!”. Forse anche a lui non piacevano le descrizioni! Di questa scena c'è pure una gustosa interpretazione nel film Amadeus, di Miloš Forman.

Vi lascio con l’incipit di Sorelle Materassi di Palazzeschi, allora, un capolavoro che inizia con una maestosa e lunga descrizione degna dell’ouverture di un’opera lirica, perché di capolavoro lirico si tratta anche in senso letterario.

 Riporterò qui sotto una paginetta abbondante: il testo prosegue per pagine e pagine con questa descrizione, e la descrizione di Palazzeschi, dei luoghi, dei tempi, dei sentimenti, dei caratteri, della magia di quel “Piccolo mondo antico” fiorentino decadente, è tutta un racconto in sé, è un dialogo dell’autore con se stesso e i suoi lettori, che diventano spettatori al suo fianco e che si preparano (e sono ben preparati), grazie a quelle descrizioni all’ingresso teatrale (Sì! Teatrale!) dei protagonisti del racconto, le sorelle Materassi stesse voglio dire, le incredibili donne che vivono in un tempo e in uno spazio loro, mentre intorno il mondo non è più quello cui esse credono, sperano, pensano di appartenere e dal quale verranno distrutte.

Descrizioni pesanti che pesano, eccome, se leggiamo ancora oggi il grande Palazzeschi.

Buona lettura.

Per coloro che non conoscono Firenze o la conoscono poco, alla sfuggita e di passaggio, dirò com’ella sia una città molto graziosa e bella circondata strettamente da colline armoniosissime. Questo strettamente non lasci supporre che il povero cittadino debba rizzare il naso per vedere il cielo come di fondo a un pozzo, bene il contrario, e vi aggiungerò un dolcemente che mi pare tanto appropriato, giacché le colline vi scendono digradando, dalle più alte che si chiamano monti addirittura e si avvicinano ai mille metri d’altezza, fino a quelle lievi e bizzarre di cento metri o cinquanta. Dirò anzi che da un lato soltanto e per un tratto breve, la collina rasentando la città la sovrasta a picco, formandoci un verone al quale con impareggiabile gusto ci possiamo affacciare. Lassù si accede per mezzo di scalinate:

Per le scale che si fèro ad etade

Ch’era sicuro il quaderno e la doga

Se qualcuno non avesse capito giova spiegare che questo modo originale di trattare di falsari e ladri i propri è anch’esso all’uso fiorentino e noi, che mai ci assumeremo l’audacia di contraddire il divino maestro, ammettiamo che lo fossero e tiriamo avanti Scalinate, dunque o scale così ripide in cui il nome non basta a rivelare il carattere. Costa Scarpuccia, Erta Canina, Rampe di San Nicolò… La collina sovrastante è quella parte del Viale dei Colli, fino al Piazzale Michelangiolo, e che molti pur non avendo visto avran sentito nominare, o si saranno immaginati attraverso testimonianza di fotografie stampe e cartoline.

Per tale fatto, dunque, corrono fra le città e le sue colline zone di pianura più o meno vaste che possono separarla da esse per due o tre chilometri, talvolta meno, talvolta oltre questo confine.

Ho detto armoniosissime, giacché la cosa che salta agli occhi dello spettatore anche distratto, mediocre o indifferente, è la linea di essa che veduta una volta non sarà facile cancellare dal ricordo; producendosi tale armonia dalle irregolarità più impreviste  (…)

 

 

 

Renato Carlo Miradoli

Nato a Milano, laureato all'Università Cattolica del Sacro Cuore in lettere classiche, è traduttore di diversi libri dall'inglese all'italiano tra i quali Stonehenge il segreto del solstizio di Terence Meaden https://www.amazon.it/Stonehenge-solstizio-Osservatorio-astronomico-affascinante/dp/8834409272  e di poesie del poeta Roald Hoffmann http://www.roaldhoffmann.com/ presentate alla Milanesiana http://temi.provincia.milano.it/Milanesiana/giorno_30giugno.html rassegna culturale della Provincia di Milano.

Dal 2003 ha fondato la sua società di servizi linguistici, formazione, agenzia traduzioni, internazionalizzazione.
E’ docente di inglese e italiano per stranieri presso l’Università Bocconi di Milano, SDA, Master MIMEC, Politecnico di Milano, MIP Master del Politecnico, Istituto Marangoni, presso istituzioni e aziende clienti multinazionali e nazionali.