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La recensione di Carrón del libro di Giussani: se vi è proprio qualcosa di non reale è quanto noi chiamiamo reale.

Splendido, come è splendido qualsiasi ragionare su Dio, è l'articolo di Juliàn Carrón, La lezione di don Giussani: Dio ci ha creati per la gioia

 https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2020/05/27/carr%C3%B3n-giussani-avvenimento-vita-uomo-corriere; che recensisce il libro di Don Luigi Giussani: Un avvenimento nella vita dell'uomo, Bur Rizzoli apparso sul Corriere della Sera del 27 Maggio 2020 alla pagina 39.

Nell'articolo tutto molto bello al punto da invogliare all’acquisto del volume!

 

Di Giussani, personalmente, ho letto molto e ogni volta ne sono uscito entusiasta per il contenuto estetizzante quasi trionfale, ma con altrettanti dubbi che sono frutto proprio di quello scetticismo che tanto era odioso al sacerdote-teologo.

Dunque, dicevo: grande articolo capace di instillare un senso di bellezza infinita, ma che anche, ahimè, non convince per alcune ragioni: vediamo quali.

A leggere le parole dell’attuale guida carismatica di Comunione e Liberazione, in effetti, ci si perde affascinati dalla presentazione nuovamente dell’essenza della religione cristiana, che è la religione del “Dio con noi,” del profondo convincimento per cui l’eternità entra nella storia che è per sua definizione finita nel tempo, avendo essa un inizio nella creazione e una fine quando essa verrà sempre per volontà dell’Eterno.

Quelle di Carrón/Giussani sarebbero le argomentazioni da proporre e finalmente (mi sono detto) ecco una visione del cristianesimo che fa quello che fa una religione, e non una fede, una religione, e non una teoria umanitarista: e, cioè, parla della propria ragione di esistere, cioè indagare su Dio.

Tutto bellissimo, tutto condivisibile, insomma tutto, come dire? desiderabile! Tranne quando egli dice e cito: “Il nulla può essere sfidato solo dall'essere, da qualcosa di reale.” E poi appunto egli cita quello che per lui sarebbe reale: la realtà, cioè ciò che ci circonda e che è percepito con i sensi del corpo e con la ragione dell’uomo; la realtà è evidente e balza all’occhio.

Non è dunque condivisibile in quanto se vi è proprio qualcosa di non reale è quanto noi chiamiamo reale; e il dire che il reale, inteso come ciò che è incontrovertibile per evidenza in sé, sia falso non è un gioco di parole, oppure una boutade da palcoscenico del teatro dell'assurdo. Dire che il reale non è reale è una conquista del pensiero filosofico moderno: il reale non è oggettivabile e di esso esistono molte visioni, tante, cioè, quante sono i soggetti pensanti. La realtà è proprio ciò che il caro Julian Carrón definirebbe fantasia e, cioè, il proprio mondo rappresentato, cioè, voluto, bramato. La mia non è una citazione di Arthur Schopenhauer (o forse sì, prendetela come volete: non lo so). Ciò che vorrei dire è che proprio quanto appare evidente non solo ai propri sensi, ma anche alla propria ragione è il reale, sì ma inteso come frutto della propria volontà, del proprio desiderio, della propria speranza.

Egli dice, dunque, che l’Eterno entra nella storia e che tutto ciò è un evento in Gesù di Nazareth, il Dio fatto uomo. Ripeto: egli dice che questo è un evento, ma intende fatto; ma qui, con sua buona pace, egli si sbaglia. Il fatto di cui egli parla è solo la vicenda storica di un uomo vissuto nel I secolo d. C. e che diceva di sé di essere Dio che entra nella storia, e questo evento storico è considerato tale da coloro che di Lui ci hanno lasciato testimonianza avendo creduto in Lui, trasferendo sulla persona di Gesù tutta l’attesa del proprio vissuto che era attesa di realizzare la propria volontà di vedere in qualcuno l’incarnazione del Verbo di Dio. Questo non è un fatto evidente in sé, bensì il frutto del proprio desiderio, appunto della propria rappresentazione della realtà. Per essi l’evento era vero perché essi volevano che lo fosse; ma esso-fatto non era evidente, altrimenti non parleremmo di fede nel discutere di religione, ma di evidenza di ragione, e nessuno avrebbe motivo di credere in qualcosa che balza appunto all’occhio quale evidente e incontrovertibile, poiché semplicemente lo riconoscerebbe.  

Perché Carrón ci dice tutto questo? Ma semplicemente perché (e cito ancora) “quel vuoto di senso che incombe costantemente su di noi per cui tutto si sfoca e si sfarina (…) non può essere sfidato con delle parole.” E questo è quanto, invece, faccio io! Egli, insomma, ci dice e mi permetto di attribuire a lui seguenti parole parafrasando le sue: “Si sta così male senza un senso nel quale riconoscersi come condiviso (perché un senso voluto da noi e da noi fabbricato, ce l'abbiamo tutti, ben inteso!) che tanto vale inventarlo in Dio nel senso latino della parola. Inventare significa trovare, ma quella t è intensiva, cioè nel senso di voler trovare anche se non c'è.

E concludo: leggendo Carrón (e mi riprometto di rileggere il volume di Giussani) sembra di sentire il misterioso protagonista dell’episodio che conclude il mio romanzo Epistola a Tiberio che si può riassumere come segue: “Crederanno perché hanno bisogno di credere, perché il non credere è amaro quanto morire subito.”

No: il “Cristianesimo alla prova”, nome della collana, non ha passato la prova, caro Carrón.

Renato Carlo Miradoli

Nato a Milano, laureato all'Università Cattolica del Sacro Cuore in lettere classiche, è traduttore di diversi libri dall'inglese all'italiano tra i quali Stonehenge il segreto del solstizio di Terence Meaden https://www.amazon.it/Stonehenge-solstizio-Osservatorio-astronomico-affascinante/dp/8834409272  e di poesie del poeta Roald Hoffmann http://www.roaldhoffmann.com/ presentate alla Milanesiana http://temi.provincia.milano.it/Milanesiana/giorno_30giugno.html rassegna culturale della Provincia di Milano.

Dal 2003 ha fondato la sua società di servizi linguistici, formazione, agenzia traduzioni, internazionalizzazione.
E’ docente di inglese e italiano per stranieri presso l’Università Bocconi di Milano, SDA, Master MIMEC, Politecnico di Milano, MIP Master del Politecnico, Istituto Marangoni, presso istituzioni e aziende clienti multinazionali e nazionali.