Il blog di Renato Carlo Miradoli

Chi ci salverà, dunque, dalla guerra tra grammamanti e grammarnazi? Forse Dante Alighieri (non epurato).

 

Vera Gheno ha scritto libri interessanti, l'ultimo dei quali, Grammamanti – Immaginare futuri con le Parole – Einaudi 2024, spicca per l'onestà intellettuale di aver precisato subito in esso, sin dalla premessa, il fatto di ammettere che per lei la lingua è uno strumento ideologico e non logico, e neppure il frutto più prezioso che abbiamo, di una tradizione culturale o di quant’altro elencando, anni e anni di stile, di poesia, di tradizione e buon gusto.

Pur nella consueta ottima preparazione, il noto linguista toscano, appunto signora Gheno, usa tutta la propria preparazione, si badi, con argomenti ben selezionati e citati al fine di giustificare la conclusione, la posizione cui ella vuole mirare.

Quale conclusione, quale posizione? Insomma, ella vuol fare la rivoluzione con la lingua. Come? Ma è semplicissimo: ridisegnandola! Violandone le regole! «Noi siamo le nostre parole» afferma l’autrice: e pazienza se da tre millenni l’uomo si arrovella, quando non si scontra con il proprio simile anche in modo violento, sul mero significato di esse, poiché nulla, neanche e soprattutto il significato, il portato delle parole è quantomai soggettivo, insondabile, come insondabile è ciò che noi siamo anche senza scomodare le parole. Ma Vera Gheno queste parole, con le quali «dovremmo instaurare (…) una vera e propria relazione amorosa, sana, libera, matura»  le vuole cavalcare usandole per cambiare la società, forzarla a fare quanto la lingua non fa, ma fa lei, che si definisce avversaria dei grammarnazi; anzi di più: vuole mutare la realtà, quasi l'uomo, al mutare del verbum, dicendo sindaca, avvocata, ecc., ecc., non abbia più la stessa natura umana di Plauto, homo homini lupus; e cioè un uomo che è lupo per gli altri uomini e non intrinsecamente buono, come per Socrate (l’uomo fa il male perché non conosce il bene: se lo conoscesse lo farebbe!), come per Marx (l’uomo se è rovinato, lo è per colpa dei capitalisti!) e come, infine, il cristianesimo e l’altro cristianesimo vincente, cioè, il comunismo, i quali si pregiano di poterlo correggere, l’uomo lupo, trasformandolo in agnello obbediente e ligio agli ordini della Chiesa (o del Partito). E Vera Gheno, uno studioso ben avvezzo alla critica, pur nuovo fustigatore dei costumi linguistici e non, concede ai critici che le proprie posizioni siano spesso indifendibili sul piano del rigore tecnico del linguaggio (bontà sua!): ma almeno lo fa! E questa volontà ammessa le fa onore. Così come fa onore all’esponente del partito della Lega, che vuole fare esattamente il contrario, sapendolo!, attraverso una legge del Parlamento che dovrebbe imporre, chissà poi con quale forza di legge, se di ammenda o di reclusione, di non dire ministra, ma ministro, sindaca, ma sindaco e via discorrendo.

Ricordiamo Mina: parole… parole… parole…

La realtà si fa da sé e non può essere veicolata: partire dall’idea di una realtà desiderata per poi imporre tutte queste belle cosette ingenue, però, non tiene conto che (oppure lo fa, va a sapere...) l’uomo (inteso come dice la bibbia, maschio e femmina… per la carità… altrimenti la Gheno si secca!) fa quello che vuole. Punto. E non vi sono tentativi di cambiarlo come vorrebbero comunisti e cattolici!

A volte lo si fa, o lo si vorrebbe fare con la lingua, a volte con i cannoni: è solo una questione del dettaglio della scelta.

Per chi scrive qui, basta dirlo: la lingua si è sempre prestata a lotte politiche, ideologiche e di pregiudizio di varia natura (leggete 1984 di Orwell). Sulla questione, ovviamente la Gheno ha torto: la lingua noi la osserviamo, la studiamo, la insegniamo e la ammiriamo; ma non potremo mai indirizzarla o addirittura imporla. Essa ci sfugge, ci ridicolizza e, poi, ci sorprende, va per la sua strada e, infine, quella strada svanisce nel tempo: e noi a lambiccarci perché una cosa si dica in un modo o in un altro; e chi sarà mai stato il primo ad aver fatto un pasto mangiato a ufo, pur non riferendosi agli extraterrestri, bensì ad usum fabricae?

Fin qui questioni di metodo; ma ora vorrei aggiungere altro entrando nel merito.

Buffo (per non dire autolesionista!) è il pensare che il verbo della Gheno, che si propone di abolire le differenze, e di qui le discriminazioni contro le donne (che, è vero, sono proprio vittime del patriarcato, nonché delle femministe linguistiche!), altro non faccia che di riproporlo per aliam viam: sottolineare che una donna, se fa il sindaco, è diversa dall’uomo sindaco: ella è solo una sindaca!

E se sindaca, ministra, avvocata e via elencando le fantasiose (e stupide e ignoranti varianti mobili del sostantivo maschile indicante ruolo e professione indipendentemente dal sesso di chi lo esercita) nun se ponno sentì proprio, come si direbbe in romanesco, esse offrono la discriminazione proprio per abolire la quale sono state inventate, sottolineando che il funzionario in questione è donna, e permettendo a chi è un vero bastardo (diversamente da così, chi discrimina non può essere definito!) di non scegliere quello stesso per un altro che sia invece uomo.  E a chi interessa se il rettore è donna o uomo? Solo a chi vuole rimarcare con una parola il genere sessuale del Magnifico, il quale, il genere sessuale, intendo, poco ha a che fare (e dobbiamo ancora una volta rimarcarlo) con il genere grammaticale.

Pensate al tedesco, lingua nella quale il cavallo, simbolo della virilità maschile è di genere neutro… vuol dire che i maschi tedeschi sono tutti omosessuali oppure semplicemente non uomini autentici? Ma queste sono idiozie che penserebbe qualche deputato europee eletto con un suffragio impressionante nelle liste di un noto partito omofobo e razzista. Oppure, no?

Ci auguriamo che la Gheno non l’abbia votato…

Leggete, dunque, il volumetto dell’inclita autrice (mai autore: se si offendesse?) e otterrete il miracolo opposto a quello che la Magnifica si è proposta: e, cioè, non otterrete null’altro che di darle torto, ma ancor peggio (e qui sta il busillis), di diventare, anche se non lo eravate precedentemente, grammarnazi.  

Chi ci salverà, dunque, da questa guerra tra grammarnazi e grammamanti? Forse Dante Alighieri. Sempre che non venga epurato.

https://www.ibs.it/grammamanti-immaginare-futuri-con-parole-libro-vera-gheno/e/9788806260224

Buona lettura.

Renato Carlo Miradoli

Nato a Milano, laureato all'Università Cattolica del Sacro Cuore in lettere classiche, è traduttore di diversi libri dall'inglese all'italiano tra i quali Stonehenge il segreto del solstizio di Terence Meaden https://www.amazon.it/Stonehenge-solstizio-Osservatorio-astronomico-affascinante/dp/8834409272  e di poesie del poeta Roald Hoffmann http://www.roaldhoffmann.com/ presentate alla Milanesiana http://temi.provincia.milano.it/Milanesiana/giorno_30giugno.html rassegna culturale della Provincia di Milano.

Dal 2003 ha fondato la sua società di servizi linguistici, formazione, agenzia traduzioni, internazionalizzazione.
E’ docente di inglese e italiano per stranieri presso l’Università Bocconi di Milano, SDA, Master MIMEC, Politecnico di Milano, MIP Master del Politecnico, Istituto Marangoni, presso istituzioni e aziende clienti multinazionali e nazionali.

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