Il blog di Renato Carlo Miradoli

Il libro Sonderkommando Auschwitz e la “strage buonista”: porti chiusi o lavoro sporco?

 Sono in ritardo, ma è mia intenzione quella di dare un contributo seppur minimo al titolo in prima pagina del noto quotidiano Il Giornale di domenica 20 gennaio u.s., dove compariva a lettere cubitali per descrivere la morte di più di un centinaio di persone emigranti dalla Libia: “Strage buonista.

Laddove si voleva alludere chiaramente a presunte responsabilità di coloro i quali, della situazione di sventura di molti emigranti, farebbero occasione di buonismo, cioè di radical chicchismo di sinistra oppure di cattocomunista pauperista, globalista cui attribuire tutta la colpa dell’accaduto, mentre coloro i quali sono duramente contrari all’accoglienza dei suddetti emigranti sarebbero lungimiranti saggi, capaci cioè di individuare colpe e meriti da attribuire a un pubblico ben definito, sempre pronti con la soluzione in tasca cui nessuno aveva pensato, una soluzione pratica, che si spiega in tre parole, che nelle teste del “popolo” è ben chiara anche se nessuno la grida, tutti la pensano, è così facile, come se essi andassero al mercato a comprare la frutta vantandosi continuamente di saper distinguere a occhio quella sana da quella tocca.

Io sono uno scrittore, questo è un blog (come dico spesso) che consiglia la lettura di libri e, da scrittore, reagisco, consigliando la lettura di un volume imperdibile: Sonderkommando, di Shlomo Venezia, Rizzoli 2007.

Ma prima va fatta una premessa narrativa.

Convinto come sono che siano i libri l'unico strumento (luogo, perciò, da sempre poco frequentato in Italia) che argina l'ignoranza, il razzismo e tutto quanto faccia eco alla bestialità umana, quella, cioè, del basso ventre di molti, pure quello dei giornalisti al soldo di chi fa loro scrivere certe cose (a volte dette fake news, altre volte da considerare volgarità colossali sulla pelle delle persone): giornalisti, dico, cioè supposti uomini e donne preparati e di cultura, nonché deontologicamente disposti per il famoso “dovere di cronaca” a dare informazione corretta al pubblico, i giornalisti che sono “puttane o pennivendoli” finché non dicono le cose in linea con il regime del popolo, ma che diventano arguti e fini ragionatori quando si trovano in quella presunta linea la quale sostiene che a uccidere sono i “porti aperti”;  convinto di tutto ciò, allora, facciamo così:  immaginiamo ora, distaccandoci dalla cronaca, cosa significhi morire al largo delle coste libiche attraverso qualche riga di testo in cui, con la fantasia, ricostruire la morte di 117 annegati.

Questa è la storia di un uomo.

Questa è la storia di un uomo, un emigrante, che vede con occhio distaccato quanto accade come se non fosse anch’egli coinvolto: vede un folto numero di persone intorno a sé e cerca di aggrapparsi disperatamente alla vita, pensando che forse non lo riguarda.

Non vi erano giubbotti salvagente per tutti e ormai è un si salvi chi può e nessuno è in grado di sorreggere fuori dall’acqua gli altri. Coloro che scivolano e perdono la presa dell’unica speranza ancora rappresentata dal gommone vanno giù: all’inizio annaspando come bestie finite nell’acqua dopo l’esondazione di un fiume, qualcuno riesce a risalire con uno sforzo immane, ma già un altro non ce la fa più.

Il nostro protagonista cerca di tenere con il braccio sinistro una donna gravata dal peso del proprio figlio che tiene in collo e che piange disperato e che beve continuamente e vomita: il braccio destro fisso all’unica corda legata al motore ormai gli duole; non sa quanto resisterà ancora e la donna lo tiene per la mano, quasi piantandogli le unghie nei palmi per non essere lasciata andare; il peso, però, è troppo e tira giù anche l’uomo: allora egli se ne libera obbedendo al proprio istinto di sopravvivenza e piange e maledice il proprio destino di essere lì, di non aver saputo salvare quella donna e quel bambino sapendo come anche lui fra poco dovrà scivolare nel nero di quel mare affamato di carne umana.

Il piangere e le urla sono assordanti e a nulla vale lo sforzo di gridare più forte per superare il tonfo di braccia e gambe che sbattono sulla superficie del mare all’unico scopo di restare a galla.

Erano circa un centinaio, poco più, quando erano salpati e ora l’uomo si rende conto che le teste rimaste fuori dall’acqua non superano che la cinquantina: sono già morti in molti. Ancora si sentono urla, preghiere, invocazioni che restano inascoltate sia da Dio sia dagli uomini ormai lontani sulla costa libica, ma anche su quella della sospirata Europa. “Eppure, ci avevano detto che qualcuno sarebbe venuto a raccoglierci! Me lo avevano assicurato: lo so: verranno!” pensa l’uomo piangendo e ancora osservando come la donna e il bimbo che egli ha abbandonato alla morte non tornano più in superficie. “Ma i cadaveri dovrebbero galleggiare,” trova il tempo di stupirsi fra sé e sé: ma è inutile e la donna non risale.  Grida nella sua mente l’uomo, ma poi deve arrendersi. Si lascia andare, beve dell’acqua salata che lo strozza: non sente più nulla, le orecchie piene della stessa acqua assassina. La distesa del mare è calma: non vi sono che corpi che galleggiano, nessuno è rimasto a testimoniare quanto è successo e raccontarcelo; e solo lo sciabordio delle onde sulla carcassa del gommone accompagna i pensieri dell’ultimo sopravvissuto mentre muore.

Ora vi è solo il silenzio, e con esso il silenzio stesso di chi legge indisturbato le notizie del quotidiano una domenica mattina al bar con cappuccino e brioche, e legge che gli sbarchi sono drasticamente crollati: “bene,” pensa quest’altro uomo convinto che il sistema funzioni, “bastava farglielo sapere che non andremo più a salvarli e ora, in pochi mesi, nessuno parte più per sbarcare nei nostri porti”.

***

Sconsolante è giunta una considerazione: finalmente, dopo cappuccino e brioche, il nostro lettore ha trovato chi gli fa pure il lavoro sporco di scoraggiare chi vuol venire qui! E con quella considerazione pure altre, quali, quelle sugli italiani poveri ai quali non ci pensa mai nessuno. 

Ma è poi vero che sia colpa degli scafisti e dei buonisti? E’ vero che è colpa di chi aiuta le persone a non annegare e quindi fa da catena di congiunzione mancante per i traffici di esseri umani, per il malaffare, magari finanziando i terroristi, è vero che chi parte e abbandona tutto, non lo farebbe sapendo di non essere aiutato da nessuno, non dalla nostra guardia costiera, non dalle Onlus, non da navi di passaggio? E’ così facile la soluzione al problema? E’ questa, la nostra soluzione finale?

Vediamo dunque il nostro volumetto di Venezia.

La storia tratta di Shlomo arrestato in Grecia e costretto a partecipare appunto ai cosiddetti Sonderkommando, i commando speciali, composti di prigionieri di religione ebraica e incaricati del lavoro più abietto svolto nei campi di Auschwitz e Birkenau: il trasporto, cioè, e l’eliminazione dei cadaveri gasati nelle camere dello Zyklon B, il pesticida usato per la soppressione dei parassiti che i Nazisti consideravano i peggiori per l’umanità: gli ebrei.

Primo Levi è il primo a farci osservare qualcosa che riguarda il Sonderkommando nel suo I sommersi e i salvati: “Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. [...] Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.”

Quando arrivi ad Auschwitz trovi un prato oggi, ma quando vi giunse Shlomo Venezia in compagnia della madre e della sorella vi era la Judenrampe, la rampa degli ebrei dove venivano accolte le vittime del nazionalsocialismo per essere inviate o direttamente alle camere a gas oppure ai lavori più utili per il grande Reich germanico, fra cui il prezioso lavoro di collaborare all’eliminazione fisica dei cadaveri. Quanto più balza all’occhio è il fatto che nessun tedesco, vuoi soldato, vuoi SS apparteneva al sonderkommando: essi non si sporcavano le mani proprio per far ricadere sugli zelanti collaboratori la responsabilità di quanto veniva commesso, aggravato, peraltro, dal crimine di tradimento dei propri compagni di prigionia e di collaborazionismo coi veri aguzzini che quasi erano scomparsi dalla scena. Essi, i veri responsabili, ignari e lontani, non apparivano mai, come l’incurante lettore al bar mentre legge il suo articolo contro i buonisti delle onlus che favoriscono l’immigrazione clandestina.

Il nostro lettore tanto preoccupato dei propri poveri e dei problemi di salute personali dimentica ancora la storia dell’umanità e in particolare il fatto che oggi egli si trovi dalla parte buona di questa assurda vicenda umana solo per caso, quando senza andare troppo in là col passato ai suoi antenati era capitato lo stesso destino di venir respinti perché italiani alla frontiera di un altro continente e di un altro mare.

Dimentica, cioè, che un giorno potrebbe accadere di nuovo a lui, alla sua gente, ai suoi vicini più cari: l'insipienza di coloro che sono i grandi miopi della storia fa sì che l'uomo non pensi proprio a tutto ciò e soprattutto non pensi alle conseguenze del proprio agire di ora e: “Tanto una cosa così,” si consola, “a me non capiterà mai: ma figurati se io mai sarò trattato alla stregua di questi negri dall’Africa.”

Egli è lo stesso peraltro che recatosi poi all'estero e riconosciuto come italiano si offende al sentirsi dire: “Italiano: pizza, spaghetti e mandolino,” oppure: “Mussolini e mafia!” E l'unica cosa che sa dire è: “Ma io sono di Chioggia, di Rivarolo Canavese: non di Palermo di Napoli!” E riproduce nel proprio piccolo italico il processo da cui tutto è cominciato, illuso che davvero basti chiudere i porti per risolvere il problema e come di incanto “informare quelli là che potrebbero morire”. 

Non pensa, cioè, che al posto di costoro potrebbe esserci proprio lui, in quanto non sa che l'uomo è sempre uguale a se stesso e chi fa il male prima o poi lo subisce pure. La cattiveria umana ora è solo cronaca e il lettore accanito di notizie liquida la cosa invitato dal giornalista a dare la responsabilità di tutto ciò ai Buonisti.

Anche la Seconda guerra mondiale finì a un certo punto e gli zelanti collaboratori del Führer si stupirono pure che le cose non fossero andate per il verso giusto e quali stupidi manichini si trovarono guarda caso proprio in quei tuguri da vittime che avevano ospitato le loro vittime deportate lì da tutta Europa.

Mala tempora currunt, sed peiora parantur.

Renato Carlo Miradoli

Nato a Milano, laureato all'Università Cattolica del Sacro Cuore in lettere classiche, è traduttore di diversi libri dall'inglese all'italiano tra i quali Stonehenge il segreto del solstizio di Terence Meaden https://www.amazon.it/Stonehenge-solstizio-Osservatorio-astronomico-affascinante/dp/8834409272  e di poesie del poeta Roald Hoffmann http://www.roaldhoffmann.com/ presentate alla Milanesiana http://temi.provincia.milano.it/Milanesiana/giorno_30giugno.html rassegna culturale della Provincia di Milano.

Dal 2003 ha fondato la sua società di servizi linguistici, formazione, agenzia traduzioni, internazionalizzazione.
E’ docente di inglese e italiano per stranieri presso l’Università Bocconi di Milano, SDA, Master MIMEC, Politecnico di Milano, MIP Master del Politecnico, Istituto Marangoni, presso istituzioni e aziende clienti multinazionali e nazionali.

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